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Una questione di dignità: i quattro licenziati della Ansor a Canegrate ritentano l’incontro con la proprietà

Ormai è una questione di dignità, di voler guardare negli occhi chi ha fatto pervenire loro la comunicazione del licenziamento dall’azienda Nuova Ansor Srl di Canegrate, per i quattro dipendenti rimasti senza lavoro dall’1 luglio scorso.

Dignità e trasparenza, chiesta anche dal Comune di Canegrate che ha scelto di rimanere dalla parte dei lavoratori, e che ha organizzato lunedì scorso un incontro in municipio, con anche la Fiom CGIL che segue la vertenza, momento disertato dalla proprietà, che dice di non aver ricevuto alcuna convocazione.

“Noi c’eravamo tutti, per capire le ragioni del licenziamento, e soprattutto tentare una mediazione. Ma dalla direzione della Nuova Ansor non si è fatto vivo nessuno. E questo ci fa molta rabbia”, dicono i quattro. Un comportamento, quello della proprietà di non presenziare, che ha indignato anche il sindaco Roberto Colombo il suo vice Matteo Modica e l’assessore Franca Meraviglia che stanno seguendo da vicino la faccenda.

Questa mattina, mercoledì 21 luglio, i quattro dipendenti, lasciati a casa senza una giusta causa, si sono ritrovati fuori dall’azienda di via Adige, dove all’interno qualcun altro sta lavorando al posto loro, perché le commissioni di lavoro non mancano, anzi. Buona parte del lavoro è stato distribuito ad altre ditte del territorio, piuttosto che offrire la cassa integrazione ai quattro lavoratori, due dei quali prossimi alla pensione.

“Sappiamo che il nostro reintegro non sarà fattibile, ma non può finire così. Lunedì prossimo, il 26 luglio, proviamo a convocare di nuovo la proprietà. Intanto abbiamo impugnato il nostro licenziamento: nel mio caso mi hanno detto che il mio lavoro non c’è più, quello che svolgevo nel capannone andato inspiegabilmente a fuoco a dicembre scorso. Sappiamo che è stato, per così dire, messo in sicurezza, puntellato, ma l’agibilità non è ancora stata concessa”, spiega Alessandro, mentre i suoi tre colleghi Norma, Alioune e Marco hanno ricevuto motivazioni diverse, tutte per lo più incomprensibili.

Ai quattro lavoratori, uno dei quali ha avuto il Covid, nei mesi scorsi è stato chiesto di svolgere del lavoro anche da casa, durante la pandemia, contando sulla loro disponibilità, come sulle loro competenze e sulla loro affezione alla ditta, dove lavorano da venticinque anni. Quel cancello si è chiuso alle loro spalle senza calcolare le difficoltà personali. A questo punto serve un confronto civile e rispettoso tra le parti. Oltre alla corresponsione degli stipendi che mancano da marzo.

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