Giorni ancora difficili questi, settimane e mesi ancora caratterizzati da nuovi contagi da Covid-19, che si spera di veder diminuire a fronte dell’aumento dei cittadini vaccinati.
E tra chi è stato colpito dal virus ed ha lottato per riprendersi la sua vita, arriva un’ennesima testimonianza di quanto non sia facile superare la malattia, che per molti sta avendo una sintomatologia molto più complessa rispetto a quella di una semplice influenza.
“A cosa sto pensando? Sto pensando al Covid: sono appena uscito dal casco cpap: un inferno. È un sacco di plastica che si indossa sulla testa, due bretelle lo agganciano sotto le ascelle altrimenti decollerebbe come un palloncino dal quale si lascia uscire tutta l’aria. L’ossigeno viene spinto dentro con una forza che da lo stesso effetto di quando in macchina si mette la testa fuori dal finestrino, ma è come si viaggiasse a 120 km/h.
Il rumore è infernale, come il tubo di un compressore che spara contro i timpani, c’è chi lo indossa poche ore al giorno e chi come me ne ha avuto bisogno 24 ore su 24, per giorni. Il casco cpap spinge l’aria nei polmoni costringendo gli alveoli, fatti collassare dal virus e dalla polmonite, a riaprirsi.
Toglie il sonno, fa esplodere la testa ma è ossigeno per chi sta soffocando, arrivi ad un certo punto che non c’è la fai più, poi arrivano gli infermieri ed i medici e ti dicono resisti, resisti ti prego se non resisti dovrai essere intubato, allora stringi i denti, è dura durissima ma vai avanti. Voglio ringraziare tutti gli angeli che lavorano in questi reparti maledetti: grazie! Se non fosse stato per voi mi sarei arreso”.
Scrive così un uomo di 49 anni (quindi non un “over 80”) ricoverato dieci giorni fa. Il suo racconto è stato pubblicato su Facebook da un amico.
(La redazione di Settenews.it non intende rivelare l’identità del soggetto interessato, ma soltanto continuare a diffondere il messaggio sulla pericolosità del Covid-19, e sulla necessità di osservare le regole per contrastarlo, per non diffonderlo, per difendere la vita di chiunque. Nel rispetto di chi lotta ancora per uscire dal “casco” e tornare ai suoi familiari).