Da trent’anni ha smesso di ricevere ospiti. Per la verità, nessuno se ne dispiace. Se non fosse che da allora, l’ex carcere di Busto Arsizio è finito nel cono d’ombra dell’abbandono. Era irrisolta la gestione di cosa farne, se abbatterlo, recuperarlo o semplicemente lasciarlo lì com’è, quando gli sviluppi della vicina Residenza del Conte hanno riaperto le sbarre. A margine dell’operazione immobiliare che si sta consumando in piazza Vittorio Emanuele, infatti, è stata prevista la messa a norma dello stabile, quale forma di compensazione che l’impresa di costruzioni deve a favore della comunità, in alternativa al parcheggio sotterraneo, inizialmente annunciato con tanto di spostamento del monumento ai caduti in piazza Trento Trieste e infine archiviato perché impraticabile. Risolta la questione del recupero, manca però di capire cosa farne. Anche per questo, l’assessore Paola Reguzzoni, tra i papabili alla carica di prossimo primo cittadino, ha organizzato una inedita visita guidata: per stimolare la cittadinanza affinché piovano proposte sul futuro utilizzo. In verità, una mezza idea l’assessore l’avrebbe: “La vedo integrata al museo e alla biblioteca, ma con specifiche proprie. Ad esempio, una sala d’incisione a disposizione di musicisti e giovani band troverebbe una struttura già per buona parte insonorizzata. Tuttavia, sono aperta ad altre ipotesi e invito tutti a farci un pensiero”. Intanto, Federica Merlo, diplomata all’accademia di Brera con una tesi dedicata alle carceri di Busto, ha guidato i visitatori tra le celle disposte sui due piani, costruiti nel 1854, in concomitanza con la cessione della proprietà del conte Marliani, quando ancora il borgo era parte del Lombardo-Veneto: “Ci ammassavano anche dieci detenuti. Al confronto, le carceri di oggi sono il grand-hotel”, si lascia scappare Reguzzoni. Sulle pareti delle celle sono ancora attaccate le pagine delle riviste osé degli anni Settanta, come Blitz, e la formazione dell’Italia campione del mondo nel 1982. Al secondo piano si segnala una cappella, che veniva usata anche come aula per le attività scolastiche: “Inizialmente, le carceri di Busto avrebbero dovuto essere costruite con un cortile centrale così da avere tutti i prigionieri sotto controllo. Poi si optò per la forma a T, comunque all’avanguardia per i tempi”, spiega la tesista. Tra i visitatori anche Ginetto Grilli, che ha riferito l’aneddoto del sinaghino Maccafelice, come veniva chiamato, che aveva il vizio di alzare il gomito: “Entrava e usciva da queste celle e i soldi che guadagnava con la buona condotta li lasciava ad un amico. Altrimenti se li sarebbe bevuti tutti, spiegava”. Si vede che, in un certo senso, oltre alla bottiglia amava vedere anche… il sole a scacchi!
Ecco per voi una ricca photogallery:
Carlo Colombo